La Dicomano del 700′

L’attività del GAD si concentra principalmente sulla ricerca archeologica e a questa indagine costante sul territorio si unisce naturalmente e con lo stesso interesse, la ricerca di archivio, lo studio dei documenti antichi, con particolare interesse per la cartografia storica.

Quando abbiamo ricevuto la notizia di una carta antica riguardante Dicomano presso un antiquario, ci siamo precipitati a vederla e siamo rimasti subito colpiti dalla bellezza del documento, emozionati come quando riusciamo a trovare un reperto archeologico. Abbiamo deciso immediatamente di acquistarla anche perché non andasse perduto un documento importante della storia di Dicomano.

Si tratta di un disegno di grandi dimensioni che misura circa 125 cm di larghezza per 70 cm di altezza e raffigura una veduta in pianta del borgo di Dicomano. Nell’angolo in basso a destra porta la firma del disegnatore e la data di realizzazione, il 1788. L’autore si firma come Salvatore Picciòli, Ingegnere Granducale; è un tecnico al servizio del Granduca di Toscana che al tempo lavora come disegnatore delle grandi opere civili in tutta la Toscana, lo troviamo attivo principalmente nel senese, per la bonifica di alcuni terreni paludosi ma anche in tutti quei luoghi della regione dove sono in atto cantieri per la realizzazione delle più importanti infrastrutture pubbliche dell’epoca.

Siamo dunque in piena epoca lorenese e alla guida del Granducato è Pietro Leopoldo I di Toscana, il sovrano più amato del tempo per la sua politica moderna e riformista. Regna in Toscana dal 1765 al 1790 e a lui dobbiamo riforme molto importanti come l’abolizione della pena di morte o la soppressione delle congregazioni religiose che inibivano sensibilmente l’economia del tempo. La sua politica innovativa era incentrata principalmente sullo sviluppo del settore commerciale e la promozione dell’attività industriale. Per il buon esito e la crescita delle attività commerciale era indispensabile la presenza di mezzi di comunicazione efficienti, che allora come oggi del resto, si identificavano nel buon funzionamento della rete stradale. Era indispensabile comunicare con la Romagna ma i collegamenti con quella regione erano obsoleti e inadeguati. Spesso per valicare l’Appennino esistevano solo stretti sentieri, pericolosi e impraticabili durante l’inverno e quindi si rivelò indispensabile la realizzazione di una moderna strada carrozzabile.

Le varie comunità, perfettamente consapevoli dei vantaggi che la nuova strada avrebbe portato, avanzarono varie proposte di percorso fra le quali ricordiamo la tratta che avrebbe dovuto raggiungere la Romagna da Pontassieve, Consuma, Camaldoli, Santa Sofia, poi la Pontassieve, Dicomano, San Godenzo, Premilcuore e una terza che da Borgo San Lorenzo seguiva il vecchio tracciato della Faentina, tra l’altro già idoneo fino alla zona di valico, ed arrivava a Faenza. Fra molte controversie fu scelto di seguire la seconda ipotesi e la nuova Strada Regia di Romagna, l’attuale statale 67, avrebbe superato l’Appennino attraversando Dicomano. I lavori iniziarono nel 1782 e si conclusero solo nel 1836.

La nostra carta fu realizzata in funzione di quei lavori e riguardava espressamente il progetto per l’attraversamento del paese di Dicomano, un’opera che avrebbe parzialmente modificato l’antica identità del borgo.

Allora il documento aveva per così dire un valore tecnico, indispensabile all’avanzamento dei lavori; indicava il percorso del nuovo tracciato, quali sarebbero stati i punti nevralgici e gli immobili da demolire per l’ampliamento della sede stradale, la costruzione di un nuovo ponte per l’attraversamento del Dicomano e così via. Oggi questo documento ha per noi un enorme valore storico; è una vera e propria miniera di dati, di notizie, che ci informano sull’identità del borgo nel Settecento.

Analizzando l’opera, ci accorgeremo immediatamente che è stata realizzata con la tecnica dell’acquerello secondo l’uso dell’epoca. Siamo infatti in un periodo preciso nella storia della cartografia e nonostante ci si stia ormai avvicinando all’epilogo nell’uso dei Cabrei, è proprio in questo momento che vengono realizzati i disegni più belli, con esempi sempre più raffinati che proseguiranno almeno fino alla metà dell’Ottocento.

La carta si mostra secondo una cromia e un abbinamento dei colori, molto gradevole ma soprattutto appare molto realistica nella dimensione degli edifici disegnati secondo l’unità di misura del tempo e per alcuni particolarità e indicazioni che la rendono davvero preziosa.

Tornando allo scopo per il quale era stata realizzata, notiamo subito che le vie per l’attraversamento del borgo erano davvero poco adatte ad un incremento del transito. Le vie più importanti erano due, provenienti da luoghi diversi, e che si riunivano proprio in Dicomano per proseguire verso l’Appennino. La prima era la Strada Mugellana che entrava in paese da ovest e la seconda, forse la più importante era quella che attraversava il Borgo di Sant’Antonio fino al Ponte Vecchio poi saliva lungo la Strada di Gualfonda (Valfonda) per riunirsi alla strada Mugellana in direzione dell’Appennino. Era indispensabile creare un’alternativa a questo tracciato poco adatto alle nuove esigenze di “traffico” e quindi furono avanzate tre ipotesi di percorso, due delle quali prevedevano l’attraversamento del torrente Dicomano nello stesso punto. L’ipotesi più comoda e meno costosa era quella di conservare il percorso di Gualfonda utilizzando il vecchio ponte, smussando e riducendo l’ampiezza di alcune case fino a rendere comodamente carrozzabile il passaggio. In alternativa, si ipotizzava che la nuova strada giungendo da Pontassieve-Rufina, appena superato il sito dell’antico hospitale di Sant’Antonio, piegasse senza attraversarlo, verso il torrente, quindi percorresse tutta la zona alluvionale in riva sinistra, per ricongiungersi al nuovo ponte ancora da costruire. Come ultima ipotesi, la strada doveva percorrere parte del Borgo di Sant’Antonio dove il tracciato era già esistente, tagliare alcuni portici del Forese per collegarsi allo stesso ponte ancora da costruire, attraversare il Dicomano e riunirsi alla via Mugellana che giungeva da Vicchio. Fu scelta quest’ultima soluzione e dopo aver demolito alcuni fabbricati del Forese, la strada nuova sarebbe passata sul Ponte Nuovo dando origine all’attuale Via Cesare Battisti. Esaminando più attentamente l’impianto urbanistico del borgo, colpisce immediatamente una particolarità della viabilità interna, che ci viene proposta dall’autore del disegno con minuziosa precisione. Tutte le strade, anche quelle più piccole, appaiono pavimentate con lastre di pietra, l’asfalto non era ancora conosciuto ne tanto meno impiegato e basta poco per immaginare il borgo con un aspetto davvero suggestivo.

Immaginando ancora una passeggiata nella Dicomano del 700, ci accorgeremo presto che le “fabbriche”, gli immobili di allora, si affacciavano tutti sulle due strade principali, la Via Mugellana attuale Via Dante Alighieri e sull’attuale Via Garibaldi nel Borgo di Sant’Antonio.

Abbiamo individuato oltre 90 costruzioni abitabili e questo grazie al nome dei proprietari riportato sul perimetro di ogni abitazione. Questo ci ha permesso di stimare una valutazione attendibile sulle case più antiche di Dicomano e conoscere le famiglie residenti dell’epoca, alcune delle quali ancora presenti. Fra queste abbiamo individuato i nomi della famiglia Dalle Pozze e dei Vivai, forse le più note storicamente, ma anche quelle dei Neri, dei Vestrini, Bartolozzi, Cortini, Mugnai, Filippieri, Ciabatti, Ceseri, Minerbetti, Rontani, Poggesi, Falugiani, Liccioli, Bartolini, Bacci, Comini, Della Nave, Vestrini, Fabbri, Martini, Pozzi, Fabbroni. Fig.1

Il Palazzo Pretorio, organo istituzionale principale, era collocato nell’attuale Via Dante Alighieri, all’angolo con Via della Pieve; probabilmente non era ancora presente nel paese Piazza della Repubblica, ne tanto meno il Palazzo Comunale di oggi, costruito nel 1888 su disegno dell’architetto Pietro Comini. Sullo stesso lato sinistro della strada per chi procede verso monte, prima di giungere al Palazzo Pretorio, era l’Oratorio della SS. Annunziata, uno dei luoghi di culto più importanti del paese. Conosciuto come la Santissima, era in passato sede della Confraternita dell’Annunziata; fu riscattato dalla Pieve nel 1785 dopo la soppressione delle congregazioni voluta dal Granduca e impiegato nella liturgia feriale della comunità. Sempre sulla Via Mugellana, sul lato opposto della strada e quasi di rimpetto all’Annunziata, doveva avere sede un piccolo cenobio delle Religiose di Malta. Le suore disponevano di un piccolo luogo di culto oggi scomparso detto Oratorio di San Giovanni dell’ordine di Malta, posto lungo lo Sdrucciolo di San Giovanni. L’oratorio scomparve e fu “profanato” con le soppressioni leopoldine, ne resta a memoria solo un’ immagine tratta da un cabreo dell’epoca.

La vita pulsante del borgo, con le sue maggiori attività commerciali e fulcro dell’economia locale, doveva concentrarsi dunque, nella Piazza Grande di Dicomano. Qui nella giornata del sabato, si teneva uno dei più grandi mercati del Mugello cui facevano riferimento commercianti provenienti da tutta la valle, dalle regioni vicine come la Romagna e da altre città della Toscana come Firenze o Livorno. Nel 1878 la piazza fu intitolata a Francesco Buonamici, canonico fiorentino e benefattore che avrebbe devoluto interamente la propria eredità in sostegno dei giovani studenti di Dicomano e San Godenzo. È interessante notare come si sia modificato nel tempo il lato est della piazza, allora munito di portici rimossi successivamente, come deve essere stata demolita la casa di Onofrio Ciabatti e poi anche quella di Marco Vestrini. Fig. 2

Poco distante dalla Piazza Grande, nella parte settentrionale del paese, era la Piazza di Montalloro, con il suo pozzo centrale. Fra il 1933 e il 1936 saranno demoliti alcuni degli edifici adiacenti la piazza per favorire ancora il transito della nuova strada di Romagna. La zona apparirà nuovamente trasformata nella seconda Guerra Mondiale dopo il bombardamento del 1944.

Poco lontano da Piazza Montalloro era il vecchio Oratorio di Sant’Onofrio, luogo di culto tra i più amati del paese per la storia affascinante che custodisce, legata all’immagine della Madonna ritenuta miracolosa. La complessità e l’estensione temporale in cui appaiono collocate le sue radici, ci impedisce di tracciare in questa sede il percorso storico dell’edificio, limitandoci ad esaminare esclusivamente quello che la carta ci racconta. Vediamo infatti che l’oratorio era unito alla Cappella della famiglia Vivai e apparteneva ai Fratelli Dalle Pozze. L’edificio era sede della Compagnia intitolata a Sant’Onofrio, destinato quindi ad essere soppresso con le leggi leopoldine del 1785. Pietro Dalle Pozze chiese ed ottenne dal Granduca Pietro Leopoldo il patronato dell’oratorio con l’impegno di ricostruirlo e trasformarlo in tempio più dignitoso, destinato comunque all’uso pubblico. L’Oratorio fu ricostruito fra il 1792 e il 1795 su progetto di Giuseppe Del Rosso lo stesso architetto che in quegli stessi anni aveva ricevuto l’incarico di trasformare e ristrutturare anche la Villa di Poggio a Frascole. La nostra carta ci mostra dunque l’Oratorio in un aspetto inedito, precedente la ricostruzione del Del Rosso. Anche se il disegno appare sfumato nella zona a “monte”, possiamo intuire una pianta molto diversa dall’attuale, con una zona lastricata precedente l’ingresso e un porticato con archi sulla facciata e sul lato adiacente la strada.

Un altro oratorio era collocato nel Borgo di Sant’Antonio, lungo l’attuale Via Garibaldi. Questo piccolissimo e poverissimo luogo di culto, ha una storia molto complicata e fu a lungo il riferimento spirituale del Popolo di Sant’Antonio, per il quale era senza dubbio inadeguato e insufficiente. Questa situazione rimase tale almeno fino al 1834 e alla costruzione della chiesa di Sant’Antonio, danneggiata dal terremoto del 1919 e ricostruita come la vediamo oggi tra il 1932 e il 1938.

Il borgo si mostra dunque come luogo intensamente vissuto attorno questi luoghi di culto e al suo mercatale, un borgo che dispone di organismi pubblici indispensabili alla vita del momento; è provvisto di alcune osterie, una in Via Dante Alighieri, una dei Vivai lungo lo Sdrucciolo di San Giovanni accanto al Ponte Vecchio; ha uno spaccio per le carni gestito da Girolamo Boni, ambiente che appartiene alla Pieve di Frascole la quale ne percepisce un censo annuo che costituisce una delle sue maggiori entrate. L’approvvigionamento idrico è garantito da tre pozzi pubblici disposti nei punti nevralgici del paese; in Piazza Montalloro, in Via Garibaldi e in Via Dante Alighieri.

Nell’area del borgo operano due mulini, uno posizionato a valle della Villa di Celle che appartiene alla Compagnia dei Bardi di Vernio e uno a monte del Ponte Vecchio, un tempo appartenuto alla Pieve e ora gestito da Filippo Tosi.

Ultimo aspetto che la carta ci racconta, è quello economico; un’economia basata soprattutto sul commercio, e questo si percepisce dalla presenza del grande mercato ma anche sostenuta dall’agricoltura, un’attività sicuramente intensa che interessa ogni angolo disponibile di territorio. Gli appezzamenti più grandi risultano accuratamente coltivati, probabilmente a grano e cereali, divisi da filari ordinati di piante, quasi certamente viti maritate, secondo l’uso mezzadrile dell’epoca. Maggiori proprietari delle zone coltivate attorno al borgo sembrano essere i Bardi di Vernio che posseggono le maggiori proprietà sulla riva destra della Sieve ma anche la Caterina Minerbetti che dispone di terre e appezzamenti agricoli a monte della Strada Mugellana. Singolare la presenza di molte zone ortive sparse in ogni spazio libero del borgo e in particolare sulla riva sinistra del Dicomano, dove ogni abitazione del Borgo di Sant’Antonio dispone di un piccolo appezzamento adibito a orto, dote preziosa e funzionale per ogni inquilino.

Da questo ampio e articolato contesto urbano, in apparenza gestito con un sistema di vita tradizionale, emerge qualche esempio di sviluppo timidamente industriale.

Come si vede i Bardi hanno proprietà terriere nella parte meridionale del borgo e da tempo hanno attrezzato in quella zona un proprio vivaio forestale nel piano alluvionale adiacente la riva sinistra della Sieve. Come si intuisce dalla carta, si tratta di una zona ben delimitata cui si accede dal Borgo di Sant’ Antonio percorrendo Via dell’Albereta; oggi di quella strada resta forse il tratto che costeggia i giardini pubblici fino al campo sportivo. L’impianto forestale si mostra sicuramente come vivaio da produzione e ciò si intuisce dalla disposizione delle piante perfettamente ordinata e dalla loro forma, probabilmente conifere come abeti o cipressi. Altro particolare interessante la presenza di un canale di irrigazione che attinge acqua dalla Sieve, circuisce tutto l’impianto garantendo la crescita delle piante. Fig.3

 Ricordiamo che la Pianta è consultabile su richiesta presso la nostra sede.