La stele di Poggio Colla, nuove informazioni sulla civiltà etrusca

La data di Sabato 30 settembre 2023 rimarrà impressa nella storia del Museo Archeologico Comprensoriale di Dicomano che, in quel giorno, si arricchisce di un reperto di eccezionale importanza: la “stele di Poggio Colla”, presentata, descritta e poi mostrata ai numerosissimi appassionati presenti all’evento.

Nella Sala Consiliare del Comune di Dicomano, raramente così affollata, si sono susseguiti gli interventi delle autorità istituzionali e le relazioni tecniche degli addetti ai lavori.

Stefano Passiatore e Filippo Carlà Campa, rispettivamente sindaci di Dicomano e Vicchio, dopo aver formalmente ringraziato tutti coloro che hanno avuto un ruolo in questa “operazione” e che hanno consentito di inserire “la stele” nel contesto museale mugellano, hanno sottolineato come questo straordinario reperto vada ad aggiungersi al già cospicuo patrimonio artistico di questa regione ricca di storia e di arte, che ha dato i natali ad artisti straordinari come Giotto e Beato Angelico, che contiene testimonianze di ogni epoca ed è oltretutto inserita in una splendida cornice naturale, che, non a caso, costituisce meta di turisti provenienti da ogni dove.

L’architetta Antonella Ranaldi, Soprintendente Archeologia, Belle arti e Paesaggio per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato, ha innanzitutto rilevato come “la sinergia” sia stata la chiave di volta che ha consentito di raggiungere questo risultato.

La stele, subito dopo il suo ritrovamento, è stata trasferita nei depositi fiorentini, ripulita, restaurata e quindi pronta per essere esaminata dal Prof. Adriano Maggiani, incaricato di decifrarne il testo. Certo è che il reperto è rimasto nei depositi dal 2015 al 2023 e che, se non fosse stato per la richiesta della Fondazione Rovati di Milano, interessata ad esporlo nel proprio museo, probabilmente nei depositi ci si troverebbe ancora. Più che giustificati, quindi, i ringraziamenti a questa giovane e vivace fondazione che, come rivela nel suo intervento la sua Presidentessa, Dr.ssa Forlanelli Rovati, in poco più di un anno di vita ha allestito dieci mostre e ha contato più di sessantacinquemila visitatori e che, inoltre, ha il merito di aver riavvicinato alla archeologia l’interesse meneghino, da tempo più concentrato sull’arte moderna e contemporanea.

Nel museo Rovati la Stele di Poggio Colla è stata esposta a fianco della stele di Lemno, giunta a Milano in prestito dal Museo Archeologico Nazionale di Atene. Dunque grande è stata la soddisfazione della Fondazione per aver potuto far conoscere al pubblico due gioielli dell’archeologia. A tal proposito la D.ssa Forlanelli Rovati spiega che l’ente da lei guidato, pur essendo privato e vivendo di risorse economiche proprie, ha scelto di collaborare con “il pubblico” allo scopo di realizzare una maggiore diffusione della conoscenza dell’arte e dell’archeologia. Alla fondazione va altresì uno speciale ringraziamento per essersi prodigata in ogni modo per agevolare il trasferimento della stele nonché per aver donato al museo di Dicomano il supporto appositamente creato per esporla a Milano e che perfettamente si abbina con gli arredi del Museo Dicomanese.

Il Dott.Pierluigi Giroldini, funzionario della Soprintendenza che ha seguito tutte le operazioni necessarie per trasferire ed installare la stele a Dicomano, dopo aver riportato l’apprezzamento ed i ringraziamenti del Dott. Maurizio Martinelli, responsabile del sistema museale della Regione Toscana, assente per sopravvenuti impegni, introduce alcune considerazioni tecniche: di particolare rilievo la circostanza che il rinvenimento della stele non sia stato casuale o isolato ma nell’ambito di un contesto scientifico, santuariale, rituale, ma anche che essa riporti il nome della divinità cui è dedicata, Uni. A questo elemento deve aggiungersi il precedente ritrovamento a Poggio Colla del frammento ceramico detto “della partoriente”, un vero e proprio unicum, che rafforza l’ipotesi che in quel luogo si praticasse un culto di genere femminile. Osserva poi come la stele abbia avuto una doppia vita, un primo utilizzo come segnacolo, connesso al sacro, ed un secondo come “materiale” reimpiegato nella costruzione del santuario, il primo vero e proprio tempio di Poggio Colla.

Lo stile scrittorio viene definito “fiesolano” e questo trova fondamento nel fatto che il Mugello con buona probabilità facesse riferimento alla città di Fiesole, a capo del territorio a partire dalla metà del VI secolo a.c., periodo di nascita delle città etrusche, coincidente con l’inizio delle costruzioni monumentali (tempio) attraverso le quali le città-stato attestavano il proprio potere sul contesto territoriale. A tal proposito deve osservarsi che la posizione geografica del santuario era strategica, molto vicina al confine fra Mugello e Val di Sieve, ai piedi di quei valichi appenninici che era obbligato a percorrere chiunque dall’Etruria padana volesse arrivare all’Etruria settentrionale e viceversa.

Gregory Warden, che insieme a Michael Thomas ha diretto gli scavi di Poggio Colla condotti dal Mugello Valley Archaeological Project, prima di addentrarsi nei particolari del ritrovamento, rivolge commossi ringraziamenti all’archeologo Francesco Nicosia, che si definiva “esperto dell’agro fiorentino”, che ebbe fiducia in lui e gli affidò l’incarico di scavare a Poggio Colla dicendogli “vai Gregory, a Poggio Colla c’è un tempio”, e non si sbagliava. Ricorda poi lo scomparso Beppe Ancarani, Dicomanese e socio del locale Gruppo Archeologico (l’attuale G.A.D.), conoscente ed amico di sua madre, dal quale dice di aver “ imparato molto”.

Ammette di essere stato fortunato (“ma non solo”aggiungono all’unisono tutti i presenti) per aver trovato prima la base di pietra di una colonna del tempio, in seguito il frammento della partoriente ed infine, il penultimo giorno del ventunesimo anno di scavo, la stele, una pietra fra le pietre, inglobata nel podio di un tempio in corso di edificazione, riutilizzata come materiale da costruzione. Ricorda con emozione come, dopo una prima ripulitura con uno spray di acqua, siano comparse le prime lettere: “subito ho capito che si trattava di un ritrovamento importantissimo”. Di nuovo viene ribadita l’importanza del ritrovamento in situ, del contesto archeologico che consente una datazione certa dell’inserimento della stele nelle fondamenta del tempio in costruzione (V secolo a.c.) (si trattava di un rito o semplicemente di un riutilizzo della pietra nella costruzione del nuovo tempio?), il momento in cui dal villaggio di capanne si passa alle costruzioni monumentali e, contemporaneamente, viene prelevata una pietra del tempio, tagliata e posta a chiusura di una fenditura nel terreno all’interno della quale vengono riposti un anello d’oro e una piccola matassa di fili d’oro: questi elementi ci parlano, siamo di fronte alla fine di un ciclo e all’inizio di un altro.

A questo punto il Prof. Warden spiega come trovi fondamento l’ipotesi formulata dal Prof. Luca Cappuccini (che ha diretto lo scavo di un altro tempio sulla cima del Monte Giovi dedicato a Tinia) in base alla quale il culto di Tinia potesse essere stato spostato a Poggio Colla dove era venerata Uni (questo argomento troverà poi collegamento nella relazione del Prof. Maggiani).

Esclude poi che la stele sia funeraria e possa provenire da una tomba: essa è diversa dalle stele funerarie, le cosidette pietre fiesolane, che possono contenere immagini ma non testi. La stele di Poggio Colla, invece, contiene testo ma non immagini. Aggiunge che Poggio Colla si trova in una zona liminale, di confine, luogo di passaggio di popoli che vanno e vengono da territori che si trovano fuori dall’Etruria propria. Qui, dunque, era necessario porre un simbolo scritto, come la stele, verosimilmente esposta in un santuario e contenente la parola, forse la lex sacra, fondamentale in un luogo sacro, molto più di un’immagine.

Conclude il suo intervento prevedendo che sulle ipotesi fin qui formulate si discuterà per anni ed aggiunge: ”c’è tanto da imparare da questi segni nella pietra”.

E’ questo il turno del Prof. Adriano Maggiani che subito qualifica gli interventi fin qui svolti ragionevoli ed intelligenti, sui quali in massima parte si dichiara concorde: interessante l’ipotesi formulata dal Dott. Giroldini sulla cerchia di santuari situati ai margini del territorio fiesolano ed emozionante il racconto della scoperta della stele alla quale ci ha fatto partecipare il Prof. Warden. Ritiene, infine, che la decisione di portare la stele nel museo di Dicomano e non in un grande museo, corrisponda ad una scelta oculata che senz’altro potrà avere successo.

L’interpretazione del testo della stele, che lui ritiene meritevole di essere qualificata “lapis mugellanum”, è solo parziale: solo una metà del testo è decifrabile, l’altra metà è illeggibile.

Inoltre la lettura di ciò che è leggibile non è stato posssibile effettuarla direttamente dalla stele ma solo dagli apografi che il Prof. Maggiani ne ha desunto anni prima.

Vi sono almeno due iscrizioni, una sulla parte piatta anteriore ed un’altra, molto lunga, sui fianchi della pietra, distribuita su due nastri che corrono secondo un ductus, una ratio, definita pseudo bustrofedica: la scrittura non cambia direzione ogni volta che cambia riga, mantenendo le lettere sempre dritte, che in una riga vanno verso destra e nella successiva vanno verso sinistra; qui l’iscrizione scorre come se fosse un unico nastro di carta che si piega “come un serpente” quando cambia direzione la scrittura. Con lo stesso tipo di scrittura si conoscono altri due reperti in etruria i quali, guarda caso, contengono due grandi iscrizioni di carattere sacro: il primo è un cippo del territorio di Cerveteri, il secondo è conosciuto come “tegola di Capua” (Tabula Capuana) e contiene un calendario sacro che indica in quali giorni si debbano compiere determinati rituali sacri.

Nella stele di Poggio Colla sono stati individuati per lo meno quattro testi, due distribuiti sulla faccia anteriore, il terzo è quello che comprende le due lunghissime righe sui fianchi della stele, il quarto, sulla sommità del fianco sinistro della stele, è quanto resta di un testo posto dopo gli altri.

I caratteri scrittori, secondo un esame paleografico, appaioni di ambiente fiesolano e volterrano, databili ultimo quarto del VI secolo – inizi del V. Si tratta di una grafia che esce da una scuola, è molto curata, precisa, ed ha il senso della monumentalità, da confrontare con la stele di Panzano, purtroppo dispersa, che ha la stessa forma e lo stesso impaginato della stele di Poggio Colla, e che contiene una iscrizione di carattere funerario, con caratteri grafici identici, compresi i segni di interpunzione, i tre puntini posti uno sopra l’altro, fatto assolutamente non comune.

Ritornando alla nostra iscizione, il primo testo è oscuro a causa del cattivo stato di conservazione, la superficie è talmente erosa che una sua lettura è improponibile. La seconda iscrizione, quella sul lato sinistro, è la più leggibile ed ha un senso abbastanza trasparente: qualcosa che va fatto per Tina (o in suo favore, in suo onore) il quale abita (oppure è entrato) nel santuario (o nel luogo sacro) di Uni. Quindi si può desumere che la dea a cui era dedicato il tempio era Uni, moglie di Tinia, la dea massima, consorte del dio supremo, che si occupa di donne, del mondo femminile, dell’infanzia, e presiede a tantissime delle competenze femminili (va ricordato che nel contesto di Poggio Colla sono stati trovati sia il frammento della partoriente che anelli e altre stupende oreficerie femminili). Più sotto c’è un riferimento numerale (potrebbe riferirsi alle offerte o ai rituali) ed una forma verbale del verbo essere, due elementi che consentono di tentare una interpretazione, intuitiva, molto incerta: per Tinia (o in suo onore) nel tempio di Uni due rituali devono essere eseguiti (o due vittime devono essere sacrificate).

La terza iscrizione è quella che corre sul lunghissimo nastro sui fianchi della stele, e qui i problemi sono molto più ampi. E’ presente una forma verbale che potrebbe essere il congiuntivo di un verbo del quale conosciamo la forma del passato (donò, dedicò) testimoniata nello stesso santuario di Poggio Colla: dunque potrebbe trattarsi di “si doni, si dedichi”. Quello che segue è assolutamente incerto, un intrico di lettere molto rovinate sulla interpretazione delle quali sarà forse necessario tornare.

Nella seconda parte è riconoscibile la parola “vivo” e questa può trovare spiegazione con il senso dell’iscrizione che riporta prescrizioni e rituali; dunque potrebbe riferirsi alle vittime da sacrificare, le quali, come viene riportato in testi latini, umbri ed etruschi, devono arrivare vive e sane al sacrificio, con un possibile riferimento a rituali di macellazione di animali.

Una ulteriore sequenza contiene alcune parole conosciute ma, nel loro insieme, sono al momento incomprensibili.

Nel quarto testo le lettere sono di formato minore, si tratta probabilmente dell’ultimo intervento.

Da quanto detto fin qui possiamo trarre una sola certezza: la stele contiene l’indicazione di due o forse tre teonimi ed alcune prescrizioni sui rituali.

L’interpretazione di quanto rimane costituisce una sfida alla quale il Prof. Maggiani invita tutti i presenti a partecipare.